Cagliari, 28 aprile 2018 – “Signor Presidente del Consiglio Regionale, onorevoli Consigliere e Consiglieri, gentili rappresentanti della FASI, con cui abbiamo collaborato e continuiamo a collaborare con entusiasmo, gentili ospiti tutti, anche io toccherò alla fine di questa lunga giornata temi che sono stati già affrontati. Lo farò facendo quello che deve fare chi ha la responsabilità di governo. E avere la responsabilità di governo significa fare dei passi avanti in termini di proposte, di possibili soluzioni, di provare a tracciare una strada sulla quale poi chiamare l’unità per trasformare le proposte in atti. Ed è quello che farò in questo intervento, soprattutto sul tema dell’insularità.

È la quinta volta che ho l’onore di intervenire in quest’Aula in occasione delle celebrazioni di Sa Die.

E c’è un filo rosso che unisce queste celebrazioni, c’è nella mia personale esperienza, ma credo, anche nella coscienza collettiva di questa assemblea e di ognuno dei suoi componenti.

Mi riferisco alla consapevolezza, certo condivisa da noi tutti, seppur con varianti inevitabilmente diverse, di aver utilizzato queste occasioni e altri momenti di discussione come i 70 anni dello Statuto sardo, per stimolare una più moderna capacità di elaborazione del senso dell’autonomia e della specialità.

E va riconosciuto che in tal senso tutte le forze politiche, in questi anni, hanno dato un contributo importante.

Il triennio rivoluzionario sardo nasceva da una rivendicazione nei confronti dello Stato, del governo piemontese. Una piattaforma declinata nelle “Cinque domande” elaborate dagli stamenti sardi.

Ci sono stati gli eventi storici: la resistenza alla tentata occupazione francese, la cacciata del viceré piemontese e dei notabili dell’entourage, le iniziative di Giovanni Maria Angioy di ribellione al feudalesimo.

La questione fondante di questi eventi, però, senza dubbio risiedeva nella mancata risposta alle 5 domande, condensabili sostanzialmente nella richiesta di rispetto della Costituzione del Regno, dei diritti fondamentali e delle aspirazioni dei sardi.

E ho avuto già modo di dire qualche anno fa che non c’è migliore ricorrenza di questa che possa consentirci un contatto sostanziale tra passato e presente, per guardare allo stato di salute della nostra specialità e alle nostre nuove domande, con cui tenere alto lo sguardo verso il raggiungimento del pieno esercizio dei nostri diritti fondamentali.

Con il contributo di molti stiamo cercando di affiancare alla nostra capacità di autogoverno e di esercizio di responsabilità anche la possibilità concreta di esercitare poteri e competenze.

All’avvio di questa legislatura abbiamo avuto modo di indicare nel tema dell’insularità la ragione permanente e il senso profondo della nostra specialità, con la quale esercitare la responsabilità e la nostra capacità di autogoverno.

Abbiamo concretamente misurato, anche in termini di mancato sviluppo, come impatti la condizione di insularità sulle nostre vite. Ma il limite più grande da superare non è finanziario: sta tutto, non ci stancheremo mai di ripeterlo, nella attuale carenza di strumenti normativi – soprattutto sovranazionali – che ci consentano di adottare politiche e azioni adeguate per sostenere la nostra crescita, il nostro sviluppo e per avere pari opportunità.

È paradigmatico, in questo senso, quello che ci accade con la continuità territoriale.

Come ho avuto modo di dire in quest’Aula davanti al Capo dello Stato: abbiamo dimostrato come e quando tale diritto per i Sardi sia un diritto fondamentale e quanto violarlo in toto o in parte leda il principio di eguaglianza.

Due anni fa, con il Patto per la Sardegna, che ha dato diverse risposte concrete a richieste specifiche e ci ha fatto fare alcuni passi avanti importanti, abbiamo ottenuto che lo Stato cofinanziasse le azioni a supporto di questo diritto.

Ma era solo il primo passo, e non il più importante.

L’ostacolo principale con cui dobbiamo confrontarci, Regione e Stato centrale insieme, è che utilizzare quelle risorse in modo adeguato deve fare i conti con norme europee sulla concorrenza che fanno una enorme fatica a riconoscere i problemi specifici di chi vive in un’isola periferica, anche per una lunga, colpevole assenza di iniziativa in questo campo, a Bruxelles, da parte dello Stato italiano.

Non è questo un giudizio polemico sull’Europa.

La politica di coesione europea è stata ed è una importante conquista del processo di integrazione europea, che permette ai territori di essere protagonisti delle proprie strategie di sviluppo e realizzare interventi destinati a migliorare la vita delle persone.

Molto è stato fatto con i fondi europei sul fronte della modernizzazione e competitività della nostra società.

Ma l’art. 174 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che è la base giuridica della politica di coesione, declina l’obiettivo in tre dimensioni, economica, sociale e territoriale. E proprio quest’ultima, la dimensione territoriale, è per noi una questione più che mai aperta.

La normativa sugli aiuti di Stato ingessa di fatto i nostri margini di intervento e quindi limita lo stesso potenziale della politica di coesione che l’Europa finanzia.

I tentativi di superare gli svantaggi strutturali e permanenti insiti nell’insularità periferica producono un continuo contenzioso con la Commissione europea.

Lo ribadiamo: sono necessari dispositivi normativi specifici, calibrati sulle sfide dei territori insulari che tengano conto di fattori quali il bacino demografico, l’estensione territoriale, la distanza chilometrica e temporale dal continente.

Questo è quello che solo pochi giorni fa abbiamo ribadito, assieme a Corsica e Baleari, le isole nostre alleate e sorelle, a Bruxelles nell’importante Conferenza dell’Intergruppo parlamentare Isole, alla presenza della Commissaria europea per la politica regionale Corina Cretu. In quella sede abbiamo fatto proposte molto concrete.

Abbiamo spiegato come sia necessario garantire, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la più ampia flessibilità nella concentrazione dell’intervento dei fondi Strutturali e di Investimento Europei negli ambiti tematici in cui maggiormente si rilevano le sfide dei territori insulari, garantire maggiore libertà di concentrare risorse laddove servono, senza che nessuno detti agende inadeguate ad aggredire i nostri problemi.

Ciò permetterebbe infatti alle autorità di governo di queste regioni di introdurre, nei propri documenti di programmazione, obiettivi prioritari strettamente connessi ai loro problemi specifici, e parliamo di trasporti, connettività digitale, reti energetiche, gestione delle risorse naturali.

Abbiamo sollecitato l’adozione, nell’ambito della produzione legislativa, di una clausola di insularità incentrata sulla definizione di “regione insulare periferica” che definisca la distinzione, che prenda in debito conto le specificità di tali territori, attraverso misure calibrate sulle sfide e caratteristiche specifiche delle isole, graduate in base all’intensità del “fattore insularità”, di appunto perifericità. Ancora, abbiamo fatto presente l’importanza di prevedere una modulazione in aumento dei tassi di cofinanziamento dei fondi europei proprio a favore delle regioni insulari che sono di fatto periferiche e, naturalmente, la necessità di incidere sulla normativa degli aiuti di Stato che, come abbiamo detto, è un laccio inaccettabile, una vera e propria limitazione al diritto di pari opportunità.

In concreto, basterebbe iniziare da questa semplice deroga: tutti i fondi europei e nazionali per investimenti che vengano utilizzati per mitigare i costi associati all’insularità dovrebbero essere esclusi automaticamente, per le isole periferiche, dall’ambito di applicazione materiale della disciplina sugli aiuti di Stato, considerandoli ab origine compatibili con il mercato interno a norma dell’art. 107 del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea.

L’insularità è la nostra grande sfida.

E come dicevo in apertura, la politica sarda è impegnata, e lo dovrà essere sempre di più, in un grande sforzo di elaborazione sulle compensazioni a questa condizione strutturale. Oltre al lavoro della Giunta e del Consiglio, un importante contributo arriva anche dal referendum e dalla proposta di revisione costituzionale per il riconoscimento formale della condizione insulare.

Importante è il lavoro dei parlamentari sardi che ha consentito di mettere per iscritto, nella legge di stabilità, le procedure per istituire un Comitato paritetico Stato-Regione che si occupi di far riconoscere dagli organismi comunitari la condizione insulare.

Ritengo che, comunque, l’obiettivo a cui devono arrivare le nostre iniziative è quello di consegnare alle Istituzioni comunitarie, assieme alle regioni che condividono la nostra condizione, la comprensione che c’è una lesione di diritti, che noi facciamo la nostra parte, ma che la nostra insularità richiede norme e competenze specifiche, sul modello di quanto avviene per le regioni ultraperiferiche.

Non è una questione di risorse e di mercato, lo ripeto ancora, è una questione di diritti e pari opportunità.

È una battaglia sulla quale vogliamo, esigiamo al nostro fianco lo Stato, qualunque sia il governo che lo rappresenti.

Così come con lo Stato vogliamo definire e chiudere una serie di altre partite aperte.

Anzitutto chiediamo che siano finalmente rese chiare, nel clima di fiducia e di leale collaborazione al quale non abbiamo mai smesso di dare il nostro contributo, le regole in base alle quali ci viene imposto un livello così alto di accantonamenti.

Livello, come abbiamo continuamente ripetuto, che ci pare ingiustificato, ingiusto, indifferente al problema dei costi dell’insularità di cui ho parlato a lungo..

Livello che, se dimensionato correttamente, ci consentirebbe di dare ancora più forza e successo alla nostra azione di rientro dal debito storico della sanità, rendendolo più facilmente compatibile con l’assoluta necessità di migliorare continuamente nella qualità dei servizi erogati agli utenti..

Ancora, con lo Stato vogliamo continuare il processo di progressivo riequilibrio del peso delle servitù militari. Abbiamo raggiunto importanti risultati in questa legislatura in tema di riequilibrio. Ora dobbiamo correre ad attuare quanto concordato e continuare a valutare bene il valore nazionale della generosità che ha espresso la Sardegna in questo campo.

E dobbiamo correre su altre partite importanti, come quella di La Maddalena, dove abbiamo riottenuto la consegna all’Isola del compendio abbandonato dopo la fuga del G8. Vogliamo che sia la Regione ad esercitare la propria capacità e responsabilità sulla rinascita di La Maddalena.

Responsabilità che abbiamo esercitato sulle aree di crisi, spesso accollandoci costi e competenze che ordinariamente competono allo Stato.

Da ultimo su Ottana, per la quale abbiamo chiesto lo stato di Area di crisi complessa. Vogliamo presto avere evidenza anche di strumenti nazionali messi a disposizione per quell’area, per il suo rilancio e per accompagnare chi oggi vive drammatiche situazioni di disoccupazione.

Ho parlato dell’Europa, ho parlato dello Stato italiano, di alcune tra le principali questioni aperte dunque con l’esterno della nostra regione, e che incidono sullo sviluppo della nostra terra.

Ma poi abbiamo un dovere verso l’interno, verso le situazioni di debolezza e difficoltà dei nostri concittadini che vedono così limitare i propri diritti di cittadinanza.

Su questo punto, lo abbiamo detto anche al Presidente Mattarella, ritengo che le Riforme siano l’unico sentiero percorribile per la Sardegna.

Una via faticosa, certo, ma l’unica possibile.

Alcune riforme questa legislatura le ha portate a casa e sono sicuro che i loro buoni frutti saranno ben evidenti nel prossimo futuro:

Una riorganizzazione della sanità e dell’emergenza-urgenza basata sul sistema delle connessioni e della rete.

Una riorganizzazione dei centri per il lavoro che viene presa come modello da altre regioni.

Un nuovo sistema delle autonomie locali che va verso la cooperazione e collaborazione, che si affianca a una programmazione territoriale che raccoglie dal territorio le proposte progettuali.

LavoRas, un piano straordinario fortemente voluto e sostenuto dal Consiglio regionale e in rapida attuazione per iniziativa della giunta in stretta collaborazione con il sistema degli enti locali, per affrontare situazioni di emergenza lavorativa e per incrementare i vantaggi a favore delle imprese che assumono.

Il REIS una scelta di avanguardia nel panorama politico fortemente rifinanziato per decisione saggia, anche in questi caso, del Consiglio Regionale.

Ora stiamo lavorando alla legge urbanistica con un sistema di consultazione dal basso innovativo e straordinario, che darà i suoi risultati e spero una legge di alto livello capace di superare divisioni e di raccogliere il consenso più ampio nella società sarda nel suo complesso.

Le riforme, quindi, piccoli e grandi passi, spesso con un lavoro che è stato anche più ampio e partecipato della sola maggioranza.

Piccoli e grandi passi, dicevo. Perché le riforme difficilmente si misurano in rumorosi annunci generici o, anche qui, solo in risorse monetarie. Si misurano sulla capacità di incidere sulla vita delle persone.

Per fare questo dobbiamo continuare a crescere, ad aumentare le nostre competenze e capacità, investire sul capitale umano, abbattere la dispersione scolastica, imparare a conoscere i mercati, favorire la gestione associata di servizi tra comunità, garantire una sanità sempre più efficiente guardando oltre il particolare.

Sono passaggi faticosi, talvolta non veloci, per i quali occorre assumersi responsabilità, rischiare momenti anche lunghi di difficoltà politica. Non ci sono alternative.

Occorre la consapevolezza di vivere dentro la storia, di avere una visione, di saperla condividere e di perseguirla con coerenza, con la certezza che ostacoli e difficoltà sono la materia di cui è fatto ogni serio disegno di riforma.

Per superare questa difficoltà, per produrre i risultati tangibili e positivi che la nostra gente si aspetta da noi, da tutti noi, ora più che mai occorre lavorare, lavorare subito e lavorare insieme.

Come ci insegna quello che da oggi, grazie all’iniziativa di quest’Aula, è l’Inno della Sardegna, tesi i fili dell’ordito, dobbiamo continuare a tessere.”</span>

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Source: Home Regione

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